This is an illustration called “The Painful Inner Call Of A Mechanical Sensibility” i made for one of my poems, i hope you like it!
Ecco la poesia:
Un sole incurante sta tramontando in questo minuscolo mondo vicino e lontano da tutto.
Esso è freddo ed intenso,
rosso e spumoso;
e si insinua,
comandando battaglioni di luce spinti da una bramosia chimica di potere,
fra distese di rovine immacolate,
che emergono dalla terra come scaglie di drago,
come scintillanti resti in putrefazione di ciò che rimane della nostra civiltà.
Annuso lo sgusciare dolce e docile delle nuvole in cielo accarezzarmi i capelli,
mentre essi si muovono ipnotici come una medusa fra i riflessi verde elettrico di flussi migratori di smog asfissiante,
fra potenti scintille elettriche,
che fanno da equilibriste,
e creano e dipingono fugaci scoppiettii di universi,
destreggiandosi fra spessi cavi di alluminio e di rame;
mentre noi,
da sotto,
recitiamo la nostra umile parte di annoiati spettatori di carne.
Mi trovo a respirare tramite questa dispotica bolla di quotidianità,
questo concentrato di esigenze e piccoli fenomeni fisici,
ed osservo il tempo diluirsi ed illudersi di poter divorare l’insignificante distanza,
fatta di pietra e disperate offerte pubblicitarie,
che mi separa da te.
Ti vedo camminare su un ventaglio asimmetrico di luce intensa,
e il sapore della tua ombra si spande fra i romantici canali costruiti dalle insenature delle mattonelle,
in cui scorrono densi e copiosi fiumi di benzina e monossido di carbonio.
Ogni tuo muscolo,
ogni delicato e selvaggio meccanismo del tuo corpo si sta sforzando,
stuprando,
di celare la spaventoso desiderio di mordermi e bruciarmi l’anima.
Cerchi,
testarda,
di non correre verso di me,
ma il rosso perenne delle tue labbra scintilla estasiato, e i tuoi capelli danzano liberi una profumata ballata di primavera.
Ti catturo con la rete bucata dei miei sguardi,
che forse sono troppo fragili per affrontare il volgare condensato di realtà che ci circonda.
Attorno a noi infatti si srotola una dimensione molliccia,
in cui nuotano agili suoni di rotaie erose dal tempo,
di giorni spiegazzati che svolazzano traghettati da torrenti disumani d’indifferenza,
di riflessi di donne ancestrali, che si legano i capelli e accarezzano il seno illuminate dalla boria noiosa dei grattacieli.
Immersi in questo domino gelatinoso di piccole vite,
che contiene la stratificazione pietrificata di tutti i nostri cosiddetti peccati,
riusciamo finalmente a toccarci:
ma non ci tocchiamo davvero,
siamo comunque due corpi distanti,
due ammassi di galassie in rotazione nella giostra del nulla,
che contengano miliardi di frammenti di un puzzle indecifrabile,
intrappolato in un costante ciclo di resurrezione.
Riesco comunque,
in questo assurdo caos d’indeterminazione,
a sentire la calda gloria della tua vita dissetare e sciogliere il mio stupido serbatoio di oscurità;
mentre ti bacio la fronte,
mentre i tuoi seni,
orgogliosi e materni,
mi commuovano e rassicurano,
uccidendo quella maligna catena arrugginita di paura che mi trascina e comanda da sempre.
Con l’immagine instabile delle miei mani ti esploro,
ti sfioro in ogni cassetto segreto,
e mi arrampico sull’elegante castello d’avorio della tua spina dorsale,
passando per la scogliera affilata delle tue costole,
dove onde concentriche di sangue e piacere mi trasportano verso le mastodontiche porte rosicchiate dai secoli del tuo nucleo.
Che è un’eruzione incontrollabile di pura tenebra,
e contiene il magma insicuro di tutto ciò che sei e non vuoi farmi vedere.
Ti scivolo dentro,
accarezzando ogni cellula che ti ostini a definire tua,
quando in realtà veniamo entrambi da una fornace riciclata di stelle,
e siamo tenuti insieme solo da un debole flusso appiccicoso di energia invisibile:
siamo due emanazioni di organismi infinitamente più grandi e scissi a cui è stata caritatevolmente prestata l’esistenza,
e volteggiamo,
inconsapevoli,
l’uno nell’altro,
cercando di soddisfare la nostra sete di conoscenza,
e di tramandare nel vuoto vibrante un piccolo eco sporco di vita.
JaC